“Padre delle tre arti nostre architettura,scultura e pittura”: primo abbozzo di ogni creazione, primo approdo di ogni idea generata dall’intelletto.
Tanto che anche gli scultori, affermava Giorgio Vasari, devono avere almeno un poco di pratica del disegno, pur esprimendosi al meglio nel rilievo. L’esercizio retorico può sembrare logoro, eppure sarebbe davvero interessante ascoltare il giudizio del Vasari dinanzi alle opere di Paola Margherita, in cui l’idea è sì diventata disegno, ma poi il disegno si è trasformato fisicamente in scultura. C’è una precisa progettualità a fondare questo processo creativo: se l’idea , associazione di pensiero, simboli e forme , è paragonabile a quel che è l’embrione nello sviluppo dell’essere umano, potremmo dire che i disegni di Paola nascono già nella consapevolezza che il loro destino è quello di tramutarsi in scultura, come il feto in uomo adulto.
L’arte”leggera” del disegno – che nel panorama artistico attuale pare finalmente essere tornata a godere della considerazione che le spetta, per la sua capacità di dare voce ai moti e ai pensieri più intimi e delicati di fronte all’irruenza del mondo contemporaneo – assume così tra le mani di Paola, una consistenza del tutto inedita dal punto di vista spaziale, mantenendo tuttavia la propria levità visuale. Scontornato , piegato, cucito a filo con l’abilità e la perizia propria della più fine tradizione artigiana, il disegno diviene la pelle di un corpo creato dalla modellatura fatta per mano dell’artista.
Oltre questa maestria realizzata, traspare tutta la forza immaginativa di Paola Margherita:fantastica luoghi e concepisce personaggi illustrati con lo spirito con cui un ragazzo si perde nei mondi delle bandes dessinées, con matura saggezza conferisce loro il sapore della vita vera, e con l’audacia del sogno li conduce nello spazio reale a tre dimensioni. Lo fa senza cercare alcun effetto illusionistico, senza tranelli per l’occhio, ma chiedendo a noi spettatori di condividere la sua fantasia, la sua visione. Non a caso qui essi non raccontano una storia, non innescano una narrazione, ma in un tempo sospeso inviano messaggi da un universo di metafore e simboli. Così, nell’opera Deriva-Azione, il significato va cercato nel rapporto dinamico tra le due parti dell’installazione che si fronteggiano, raffiguranti una ragazza e il mare. La posa di lei, in un atteggiamento carico di tensione positiva e un pizzico sfrontato, racchiude tutta l’energia della giovinezza pronta a sprigionarsi, quella energia necessaria ad affrontare le sfide della vita, simboleggiate dal susseguirsi delle infinite onde del mare. Proprio il rapporto con l’acqua e il complesso dei suoi significati simbolici pare l’elemento ricorrente di questa fase del percorso di Paola margherita, che il mare contempla ogni giorno dalla finestra del suo studio di Pozzuoli, incessantemente mutevole ed eternamente identico. E’ senz’altro nel dialogo con il mare che vanno interpretati i gesti e le espressioni delle figure che abitano i disegni “tradizionali”, a due dimensioni , e la presenza delle barche ormeggiate al molo, mentre altrove la distesa marina, scomparsa apparentemente ogni traccia umana rimane l’unico e silenzioso protagonista dell’immagine. In Terremare, dedicato alla memoria delle antiche comunità dell’ Età del Bronzo padana, il rilievo di terracotta che costituisce la parte centrale dell’opera, recante le tracce materiali dell’abitato, è stretto ai lati dei flutti delle canalizzazioni che Paola fa invece riaffiorare nel presente con la forza dell’immaginazione.
Le atmosfere classiche e metafisiche che aleggiano in queste opere ci rammentano, pur filtrata da altre suggestioni della tradizione figurativa novecentesca, la poetica di Giorgio De Chirico, il quale del mare scriveva:«La superficie piatta di un oceano perfettamente calma ci inquieta non tanto per l’idea della distanza chilometrica che sta tra noi e il fondo quanto per tutto lo sconosciuto che si cela nel fondo». Una delle possibili chiavi per leggere l’opera di Paola Margherita sta forse proprio nel saper immaginare con lei una presenza oltre l’orizzonte oltre la superficie del mare, o una forza, un moto vitale oltre un gesto, in un’atmosfera di attesa che tuttavia un’energia vibrante freme dalla voglia di spezzare. La scala che in Arco, sotto un cielo plumbeo, digrada precipitosamente ai nostri piedi senza che ce nel venga mostrato l’approdo, sembra così volerci porre dinanzi alla vertigine e alla paura del vuoto. Paola Margherita ci invita a interiorizzare le immagini e a risolvere il significato affidandoci ai sensi e alla visione.
Daniele De Luigi critico d’arte contemporanea e curatore 2007